C’è assoluta mancanza di collaborazione di chi probabilmente sa, ma non vuol parlare”: a un anno dalla scomparsa di Daouda Diane, mediatore culturale ivoriano scomparso nel nulla ad Acate, nel Ragusano, le indagini si sono arenate sulla spiaggia dell’omertà. “Non abbiamo trascurato alcuna pista investigativa e ci siamo avvalsi di tutti gli strumenti di indagine a nostra disposizione, impegnando significative risorse, nonostante le difficoltà incontrate anche a causa di approfondimenti investigativi rivelatisi inconducenti, frutto di apporti dichiarativi che si sono rivelati infondati”, dice il procuratore capo di Ragusa, Fabio D’Anna, facendo con l’AGI il punto sull’inchiesta coordinata dal sostituto Silvia Giarrizzo.
“Abbiamo utilizzato i droni – aggiunge – e sono stati impiegati nella ricerca i Cacciatori di Sicilia, ma anche la protezione civile e un team cinofilo specializzato nella ricerca di cadaveri, poichè tra le ipotesi c’è anche, e non solo quella che Daouda Diane sia stato ucciso e sepolto da qualche parte. Abbiamo effettuato carotaggi e ricerche anche sotto la superficie del terreno, sono state effettuate delle perquisizioni e sono state acquisite copie forensi di dispositivi elettronici ma non vi sono esiti stringenti sulla ricostruzione di quanto possa essere avvenuto”.
Partito dal suo paese, Daouda era giunto in Sicilia diversi anni fa a bordo di una barca simile alle centinaia che in questi giorni attraversano il Mediterraneo alla volta del sogno europeo. Assunto come mediatore culturale per la sua conoscenza di inglese e francese, aveva imparato presto l’italiano e alternava questo lavoro a quello in una società di calcestruzzi. Nell’azienda lavorava in nero, in condizioni proibitive e dannose per la sua salute, segnata dal diabete.
Il pomeriggio del 2 luglio dello scorso anno Daouda scomparve nel nulla. Qualche tempo prima – spiega Libera in una ricostruzione – aveva inviato due filmati a un connazionale: il mediatore parlava in quei filmati più in francese che in bambara, il dialetto ivoriano con il quale i due abitualmente comunicavano tra loro. Nel primo le immagini fanno vedere Daouda dentro una betoniera, con un martello pneumatico in mano privo delle dovute protezioni. Nel secondo, di lui si sente la voce che dice ‘Qui il lavoro è duro, qui si muore’. Quella è l’ultima sua testimonianza sui social media. Nella sua stanza sono stati trovati il passaporto di Daouda, il permesso di soggiorno in originale, soldi e persino un biglietto aereo per la Costa D’Avorio, con volo prenotato per il 22 luglio. “I punti fermi – spiega D’Anna – sono che il signor Daouda, secondo la denuncia presentata il 4 luglio dalla Medintegra, società presso la quale era assunto come mediatore culturale, non avrebbe dato notizie di sé dal 2 luglio. A seguito della denuncia di scomparsa presentata, la Prefettura ha attivato subito il piano di ricerca persone scomparse e solo l’8 luglio la notizia è pervenuta alla Procura della Repubblica”.
Si è detto, nel corso di questi mesi, che Daouda Diane possa essere stato ‘eliminato’ perché aveva denunciato le condizioni di sfruttamento lavorativo. “Non vi sono certezze né sulla data in cui quei filmati siano stati girati, né sul luogo in cui quella betoniera si trovava. Le indagini purtroppo non hanno consentito di rinvenire il telefono cellulare, che dal 2 luglio non risulta avere generato alcun traffico. Comunque, non sono emersi elementi che inducano a ritenere che il signor Diane sia stato vittima di sfruttamento lavorativo: era regolarmente assunto dalla società Medintegra, con la quale svolgeva lavoro di mediatore culturale, e su base volontaria, stando alle testimonianze raccolte, era solito prestare occasionalmente attività a favore di terzi tra cui i proprietari del cementificio”. Proprietari che sono stati indagati anche per permettere accertamenti tecnici irripetibili senza esiti utili alla ricostruzione di quanto accaduto. Non è arrivato aiuto nemmeno dalle celle telefoniche, a quanto pare. “Le celle agganciate dal telefonino nell’ultimo contatto coprono un raggio talmente grande da interessare anche il territorio di Vittoria e quindi non hanno consentito di collocare il soggetto in un punto preciso”. Nessun aiuto da immagini di videosorveglianza? “Purtroppo il Comune di Acate non aveva impianti di videosorveglianza nella zona, né tantomeno ne sono stati individuati altri da soggetti privati”.
A più riprese sono emersi dei ‘suggerimenti social’ se così possiamo definirli, che invitavano a cercare tracce in alcune zone di Acate. “Ripeto – prosegue D’Anna – tutte le piste sono state seguite e sono state sentite tutte le persone che per lavoro, per amicizia o conoscenza potevano sapere qualcosa. Come detto, molti spunti dichiarativi si sono rivelati poi infondati e spesso, a dichiarazioni roboanti, non ne sono seguite conferme, ma dei generici ‘si dice’ che nei riscontri sono apparsi alla stregua di chiacchiere di paese”. In occasione della riunione proprio ad Acate della Commissione regionale antimafia aveva rivolto un appello a collaborare. Ma una pista privilegiata esiste? “Tendiamo ad escludere – risponde il magistrato – che si sia trattato di un allontanamento volontario. Abbiamo setacciato conti, due abitazioni, perché il signor Diane aveva due alloggi, uno ad Acate e uno a Ragusa. Era una persona ben integrata, di una certa cultura, che conosceva i suoi diritti; aveva una forma di diabete che controllava periodicamente e che curava. Aveva anche una certa disponibilità economica e risulta mantenesse la famiglia in Costa d’Avorio”. Anche la moglie è stata sentita due volte. “Sì ma nemmeno le dichiarazioni della moglie hanno portato elementi utili all’indagine, né tantomeno sono emersi dettagli che potessero condurre alla ipotesi di sfruttamento lavorativo”. “Continuiamo ad indagare senza escludere alcuna pista – conclude il procuratore capo di Ragusa, Fabio D’Anna – e rinnovo l’appello a collaborare. C’è un clima omertoso. E’ impossibile che in un piccolo centro come Acate nessuno sappia nulla”.